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Editoriali

Sulle spoglie di Dafni

di Luigi Arista

 

Dafni era morto. Di lui si sa che era stato infelice, ma Teocrito ne fa cantare a Tirsi il ricordo senza dire né come né perché la sua morte fosse avvenuta. La poetica bucolica, attinta dalla realtà pastorale, nasce tuttavia alludendo e comincia con una suggestione mitica di fondo, atemporale, malinconica e priva di spiegazioni. È Virgilio, al contrario, che a un'Arcadia tutta luogo interiore aggiunge un dato storico e realistico: Melibeo ha subito un sopruso, l'esproprio della maggese a favore di un «impius miles» e «barbarus» di Cesare, e sarà un esule.

 

L'uomo assapora da sempre un malessere di vivere, provocato da una sorte ritagliabile nel mito o da un superno potere terreno. Nel caso delle antiche requisizioni romane, il potere indiscutibile era appunto della città che «alias inter capus extulit urbes». Chi invece, nell'occidente moderno e post-moderno, quale popolo o razza, quale ceto sociale o che tipo di esercito ha sollevato così il capo fra tutti, tanto da provocare nelle moltitudini sottomesse finanche lo smarrimento del senso stesso dell'essere? Lo sappiamo, oggi abbiamo le menti annerite dall'iper-comunicazione mass-mediatica asservita al 'potere virtuale' (non localizzabile, come il rapporto con il web) di un capitalismo ormai 'metafisico', che obbliga la vita a un automatismo al quale non si sfugge, illudendoci peraltro di compiere scelte soggettive.
Ma sulla situazione generale di quest'epoca, che sembra non poter essere altrimenti definita se non anteponendo il 'post' a ogni precedente attributo, sono state già compiute un'enormità di analisi e di congetture. Restando alla situazione della letteratura, ormai considerata fra le cose più futili di cui parlare, è noto che da tempo gli stili delle 'scritture' si sono moltiplicati in una miriade di tendenze, così com'è evidente che entro un nevrotico repertorio di linguaggi il dominio del 'senso' si è abbassato allo stereotipo. Perciò ogni letterarietà si è spenta e solo la prosa facile per chi è imbevuto di spettacolo rimane (e brevemente) in vita, quella corretta dagli editor esperti di comunicazione, avventura, rosa, noir, thriller, soprattutto l'attualismo drammatico o buonista che abbia una morale o un messaggio certi, insomma il passatempo, nulla che lasci nell'esitazione di una risposta da cercare o provochi un 'brivido estetico' prima che emotivo.
E un simile particolato è stata la 'poetica' (per usare il termine più antico che dovrebbe definire la riflessione circa il letterario), fra 'discorsi', più che vere e proprie teorie organiche, discorsi sparsi sulle alterità, le marginalità, le identità, il capitale cognitivo, la multiculturalità, riproposizioni del passato e avanguardismi di una 'Terza Ondata', in definitiva tesi sulla teoria. Basta leggere anche solo un buon compendio del folto panorama saggistico dei passati trent'anni, per capire che oggi l'antica Poetica è diventata una discussione sui movimenti sociali e culturali, e sulla cultura stessa, intorno al pretesto letterario. E intanto c'è chi, per affrontare le questioni della comunicazione letteraria nel cosiddetto 'terzo stadio' del capitalismo (il capitalismo immateriale), si fa sostenitore di una 'poetica politica' (di nuovo, poiché la critica storico-sociale già lo è stata).
Se il capitalismo è diventato immateriale (non si 'accumula' più tramite la produzione in fabbrica ma con le transazioni di valori finanziari), altrettanto immateriale è ormai quasi tutta la comunicazione (molta più informatica - blog, social, ebook - e molti più canali televisivi al posto della carta). Il dato è di fatto e incontrovertibile. Ma se la virtualità dei valori finanziari fa rischiare il disastro economico mondiale che impatterebbe sulle masse, la virtualità della comunicazione accende le voci delle masse e ricade sulle soggettività, fra le quali anche le meno avide di ciarle si perdono nel caos collettivo. E poiché a questo si aggiunge l'evanescenza di ogni attenzione umanistica, all'intellettuale, pensatore, studioso, poeta o scrittore, non resta che l'angusto isolamento.

 

Ma allora, cosa fa una rivista letteraria web in tale contesto di caos e isolamento del letterario prodotto, teorizzato e iperfilosofato? Perché con la letteratura che vanisce, oggi continuare a parlarne sul mezzo principe della comunicazione immateriale e ciarliera?

Io credo che farlo possa ancora avere senso, quando il discorso è decoroso. Coloro dei quali i nostri tempi hanno vero bisogno, non sono i politici capaci o gli acuti osservatori degli eventi, bensì, più a monte, sono gli intellettuali che attraverso la 'cultura' restituiscano un'etica diversa. Certo, nella baraonda l'intellettuale è quasi inascoltato, ma qualora, per caso, sia incontrato e possa interagire con qualche mente ben disposta, il valore di ciò che egli esprime prende corpo dalla dignità del suo antagonismo, ovvero della resistenza condotta da un punto di separazione dal sistema. Così per il letterato, per chi è 'implicato' nella letteratura, esprimersi nel web può avere il senso di essere presente, dentro il caos, in una sorta di isolamento militante.
A confortare di un tale umile fine valga il ricordo di due grandi 'separati'. Leopardi, avvertendo come già nel suo "secolo sciocco" la cultura si uniformasse verso il basso intorno all'esplosione delle scritture vacue e delle opinioni, annotava tra i Pensieri: «oggi, che il comporre è di tutti, e che la cosa più difficile è trovare uno che non sia autore, è divenuto un flagello» e «Nessun libro classico fu stampato in altri tempi con quella eleganza che oggi si stampano le gazzette e l'altre ciance politiche fatte per durare un giorno». E non molto più tardi Baudelaire, in un tempo di cambiamento che egli stesso chiamò «modernité», inneggiava alla Bellezza primigenia e raccontava la 'bellezza malata', la perdita di identità e funzione dell'artista, l'anonimia e l'inautentico, «Ma pauvre Muse, helas! qu'as-tu donc ce matin?», evocando "i suoni delle sillabe antiche, / dove regnano i padri di ogni canto, / Febo e il grande Pan, signore delle messi".

 

Con questi versi, abbiamo anche il presupposto per tornare all'allegoria dei 'figli di Pan'. Tirsi invoca le Muse e commosso canta Dafni, e Melibeo che lascia la patria raccomanda a Titiro di far risuonare le selve. Quando l'una e l'altra cosa avvengono, Dafni il cantore mitico era morto. Ma noi sappiamo che sulle sue simboliche spoglie fiorirono alti magisteri di poesia. Forse anche oggi, non più dallo sfondo del mito e del fato indeterminato, ma sulle spoglie di ciò che perisce per quel destino che ci autodeterminiamo, si può auspicare la futura rinascita di un culto dell'uomo interiore e dello stile.

 

Luigi Arista (ottobre 2015)

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