|   Un secondo racconto di Neil Novello, intellettuale e scrittore 
                      presentato nel numero precedente. L'autore attinge ancora 
                      alla complessa storia in cui affondava la costruzione della 
                      modernità, puntando il fuoco su un singolo dettaglio 
                      storico fino alle vicende e alle sorti delle soggettività. 
                      Ma che i personaggi siano realmente esistiti o creati dalla 
                      fantasia è del tutto ininfluente, nella felice descrizione 
                      della loro appartenenza agli ambienti del tempo e del coinvolgimento 
                      negli eventi. Felici anche l'intensità narrativa, 
                      la lieve dose thrilling e l'idea di una nèmesi 
                      individuale che vendica le anime di vittime innocenti - 
                      fantasmi ancora vaganti sulla terra. Insomma una pagina 
                      di storia diventa allegoria in un brano da notare per la 
                      sua 'compiutezza' nella misura breve del racconto. 
 di Neil Novello      Nel collegio francese di Barbagallo si respirava unatmosfera 
                      mista di pietà e terrore. Tra gli sfarzosi altari 
                      e le celle, un infernale viavai di frati, insonni le notti 
                      stupende della primavera francese e i giorni sotto il primo, 
                      tenero sole di marzo. Anche le anime dei religiosi condannati 
                      a morte si aggiravano tra i portici scorrazzando per gli 
                      orti ombrosi e i giardini. E aleggiavano poi su crocifissi 
                      di cappelle sparendo in un lampo tra assolate colonne. La 
                      notte, come in certe torbide fantasie, tornavano in sonno 
                      per visitare gli incubi dei padri gesuiti, per ossessionarne 
                      la coscienza, avvelenarne i ricordi e il tempo futuro. Già 
                      molte preghiere serano recitate ai piedi delle croci, 
                      altre avrebbero riempito il vuoto di ampie sale, alleviato 
                      le anime dagli strazi dopo lultima ecatombe di eretici 
                      ordinata dall'Inquisizione.  Come in un incubo, uno tra gli arsi vivi, da poco tonsurato 
                      e subito bardato di un piccolo saio di iuta bruna, perlustrava, 
                      folletto vivo e gaio, le oscure campate del collegio, unico 
                      orfano tra tanti padri di fede. Era lanima di frate 
                      Gennariello, venuta a vendicarsi di fratelli infidi, malvagi. 
                      Poco più che fanciullo, già mascherato di 
                      amabile impenitenza, giovinetto smaliziato a vivere una 
                      vita per gli altri e una segreta per sé, quasi per 
                      gioco entrava al servizio del collegio. Come altre volte, 
                      tante altre volte, fu listinto a portare il giovane 
                      ad abbandonarsi in Dio. Per leggerezza, per lirrinunciabile 
                      desiderio di vivere solamente per esserci. Ed eccolo là, 
                      con un filo di pappagorgia a nascondere il mento sfuggente, 
                      con le mascelle nascoste sotto un dito di grasso, provetto 
                      gesuita tra più scaltrita, anziana gente di fede. 
                      E tutti i sogni si consumavano in quel luogo, al fresco 
                      del chiostro, tra i salmi e i rosarî, le prime penitenze, 
                      mentre in corpo il sangue si amareggiava come di chi viva 
                      fuori di sé, regnante di un popolo straniero e ostile. Tutta una gaiezza ilare e leggera si spandeva tra i gesuiti 
                      del mondo. Dietro un amorevole dialogo, più che un 
                      innocente slancio si celava una durissima disciplina, e 
                      spesso mortificava la fantasia, la gioia di vivere. Era 
                      il mondo della Compagnia di Gesù. Per qualche mente 
                      più raffinata, leccesso di felicità 
                      significava che le stagioni della gioia non erano infinite. 
                      Solo un momento più luminoso, una fortuna caduta 
                      dalle mani di un generoso Dio. E un giorno, mutata la sorte 
                      e il destino umano, non per vanità o orgoglio, alla 
                      pace sarebbe subentrata la guerra. Quegli anni, tempo di 
                      verità o età già menzognera, fuggivano 
                      come un fiume. Forse a tanto pensava Padre Cardamone quando 
                      si vide recapitare, in una notte profonda e serena, una 
                      bolla reale a firma del cancelliere Irpino. Era sigillata 
                      con linconfondibile cera monarchica colore cremisi, 
                      un rubino daspetto sanguigno. Un doppio tocco secco 
                      alla porta rintronò nella celletta come un secco 
                      tonfo. Le nocche di Padre Soreau di Lione parvero spietate 
                      appena furono udite abbattersi, dure come il suo volto marmoreo, 
                      sul legno di noce. E lui comparve come un fantasma notturno 
                      sulla soglia dellandito. «Sì
» 
                      sibilò Cardamone intravedendone la veste. ... Continua 
                      a leggere     (pubblicato a novembre 2016) |